domenica 22 novembre 2009

Da un monumento all'altro

Scusate la seconda menzione consecutiva del bar El reportaje. Ma vivo uno di quei mesti periodi in cui mi è pressocchè impossibile restare in casa. Esco allora più che posso, a danno del fegato, delle vergini e del conto in banca. Il bar El reportaje è un locale appena passabile, dove usano burro e non margarina, preparano café con leche fumante e servono al tavolo senza esosi rincari. Non è lontano dall'appartamento dove sfortunatamente abito; vista l'aria che tira, mi accontento. Leggevo un estratto de "L'arte e la maniera di abbordare il proprio capoufficio per chiedergli un aumento", di George Perec. Mentre si fa colazione, si legge aspettando un punto, o un punto e a capo, col suo arioso cambiar di capoverso, per sorbire il caffè o spalmare col coltello burro e marmellata sul pane tostato. "L'arte e la maniera di abbordare il proprio capoufficio per chiedergli un aumento" non ha nemmeno un punto perchè non ha alcuna punteggiatura. Questo lo rende il peggiore dei libri da leggere durante la colazione.
Ogni volta che leggo un testo povero di punteggiatura, ripenso a un amico di Bologna. Agli appuntamenti che mi era impossibile onorare con puntualità, di solito in un bar, mi aspettava seduto al primo tavolino davanti alla porta, con un bicchiere di rosso in mano. Mai una volta che si sedesse al secondo tavolo, o al terzo, o che bevesse vino bianco. Scriveva dei brevi e divertenti racconti quasi privi di punteggiatura.
Proseguo. Il settimanale che conteneva l'anticipazione del libro di Perec, celebra a pagina 28 il centesimo anniversario della nascita di Eugene Ionesco. Un lungo articolo, dominato da una fotografia del drammaturgo che fuma un mozzicone di sigaretta, dice che l'incomunicabilità prende spesso le sembianze della prolissità. Un po' mi secca, ma credo sia un'involontario commento al libro di George Perec.



A questo punto, non posso fare a meno di ricordare quanto accaduto ieri sera, quando nel salotto dell'appartamento che ho sciaguratamente scelto per trascorrere i giorni d'autunno, sono convenuti degli amici di un mio coinquilino. L'arredamento provvisiorio da boheme di fine Novecento prescriveva l'uso dei cuscini di un divano inesistente per adagiarsi alla meno peggio. La musica usciva da un portatile Toshiba e il rum era trattato bruscamente, come se dovesse lui servire chi beveva e non il contrario. Un improvviso scarto della conversazione portò l'attenzione generale sull'Italia. Venni interrogato sulla mia provenienza. Firenze scatena sempre strane reazioni. "E' come un sogno", dice uno, "Ma quanti turisti!", dice l'altro. Il mio coinquilino, ferrato, riassume in una formula che credo di aver smesso di usare, per sfinimento, quando avevo quindici anni: "Meglio per i turisti che per chi ci abita: da un monumento all'altro... da un monumento all'altro... ci si annoia". Se l'avesse pronunciata uno sconosciuto, quella frase, avrei ricorso a una citazione di Stendhal e tutto si sarebbe risolto in una sgradevole risata. Ma costui non è per me uno sconosciuto, è l'individuo che rende così spiacevole il mio soggiorno, spero breve, in quest'appartamento. Perciò sbuffo:

- Si potrà pur fare qualcosa di divertente, tra un monumento e l'altro!

Ma ecco che ritorno col pensiero al bar El reportaje, dove sul settimanale ho letto che a Parigi, in questi giorni, si tiene una mostra sulle ultime opere di Renoir, che il pittore finì coi pennelli legati alle dita. Interrogato da Matisse:

- Perchè ti torturi così?

Renoir rispose:

- Il dolore passa, Matisse, ma la bellezza resta.

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